fragmenta V

I mutamenti filosofici connessi al dispiegarsi della modernità hanno - credo - un versante positivo: il rifiuto di false certezze, la sdivinizzazione del mondo, la storicizzazione delle modalità logiche e retoriche della razionalità; ma anche un versante negativo: l'ebbrezza dello smarrimento esistenziale, l'esaltazione della contraddittorietà, il filosofare come argomentazione debole e letteraria, la divinazione al posto della ragione. Un esempio: la cosiddetta "svolta linguistica" della prima metà del '900, che da un lato ha consentito di aprire una dimensione nuova alla filosofia ma dall'altra l'ha fatta cadere nella pedanteria analitica e nella poetica della parola, alla Heidegger.
Prima era all'opera una ragione impegnata, critica e dialettica, ora dominano gli algoritmi, la statistica, la razionalità tecnomorfa e tutto rifluisce e affonda in uno spazio argomentativo e comunicativo confuso e rumoroso, pieno di linguaggi settoriali, corporativi o privati, uniti solo dall'esaltazione della propria marginalità, dall'ipocrita affermazione di una libertà del pensiero che è piuttosto una libertà dal pensiero.
Si parlò, sul finire del '900, di "crisi della ragione", ma questa espressione è fuorviante: la ragione è sempre in crisi, quando non è dogmatica, per fortuna; preferisco dire "discredito della ragione", come argomentò Lacan (e poi Habermas). Qualche filosofo ha gioito per questo discredito, perché gli è parso una liberazione del pensiero; io credo che bisogna diffidarne, poiché per me sono degli inetti, che preferiscono languire nelle nicchie letterarie, dove l'allusione sostituisce l'argomentazione, o estenuarsi in inutili lambiccamenti mentali.
Siamo ormai ben lontani dal sapiente legislatore della Grecia antica, come Parmenide...
Dovremmo imparare a fare silenzio, propedeutico al pensiero e alla comuicazione efficace.
Prima era all'opera una ragione impegnata, critica e dialettica, ora dominano gli algoritmi, la statistica, la razionalità tecnomorfa e tutto rifluisce e affonda in uno spazio argomentativo e comunicativo confuso e rumoroso, pieno di linguaggi settoriali, corporativi o privati, uniti solo dall'esaltazione della propria marginalità, dall'ipocrita affermazione di una libertà del pensiero che è piuttosto una libertà dal pensiero.
Si parlò, sul finire del '900, di "crisi della ragione", ma questa espressione è fuorviante: la ragione è sempre in crisi, quando non è dogmatica, per fortuna; preferisco dire "discredito della ragione", come argomentò Lacan (e poi Habermas). Qualche filosofo ha gioito per questo discredito, perché gli è parso una liberazione del pensiero; io credo che bisogna diffidarne, poiché per me sono degli inetti, che preferiscono languire nelle nicchie letterarie, dove l'allusione sostituisce l'argomentazione, o estenuarsi in inutili lambiccamenti mentali.
Siamo ormai ben lontani dal sapiente legislatore della Grecia antica, come Parmenide...
Dovremmo imparare a fare silenzio, propedeutico al pensiero e alla comuicazione efficace.