Come più volte ho scritto:col trascorrere del tempo e della riflessione mi sono costruito una filosofia minima, molto semplice (anche se, ovviamente, è come la punta emersa di un iceberg: sotto c'è molta implicita complessità).
Il perno di questa filosofia minima è la mia credenza che la salvezza etica e teoretica dell'essere umano - dell'individuo, prima che della specie - risieda nella superficialità; la mente non dovrebbe inseguire la trascendenza, abitare gli abissi. Questa credenza in un altro e in un altrove, con tutta quella folla di metafore del mistero, del nulla, della morte, della vita oltre la morte, è soltanto l'effetto del tragico sentimento del limite, del limite della nostra esistenza e del nostro mondo: poiché non posso conoscere nulla oltre quel limite che mi angustia, lo immagino. Tuttavia questa immaginazione è un'affascinante oziosità, il cui fascino ammalia l'intelletto ma contemporaneamente l'ottenebra.
Perciò, credo, dovremmo imporci di non superare l'apparenza, poiché l'apparenza è il mondo, dovremmo tentare di non sprofondare nei presunti segreti dell'essere o - peggio ancora - della divinità, per appagarci del "qui" e "ora", accontentandoci di una vita decente, finché dura.
Lo so: più facile a dirsi che a farsi.