A me l'onore di inaugurare il circolo!
Ahimé! Mentre voi giovani filosofi avete ancora molto da studiare e da riflettere io, che sono invece un vecchio filosofo, ho già dato: molto studiato, molto riflettuto; quindi ormai ho fatto le mie scelte, consolidato le mie convinzioni (d'altronde è una divisione dei ruoli scimmiesca: i giovani esplorano e innovano, gli anziani conservano e tramandano; secondo gli etologi ci sono anche i simboli della casta: striscia di peli bianchi sul dorso del gorilla, capelli bianchi negli esseri umani). Questa premessa un po' patetica serve per dire che io aderisco alla prospettiva della cosiddetta "epistemologia evolutiva" o "naturalistica", il cui fondamento - ovviamente semplifico - è che le forme a priori dell'intelletto sono a priori per l'individuo ma a posteriori per la specie, essendo il risultato di una evoluzione cognitiva. Una prospettiva implica selezione delle idee, affermazioni e negazioni e una determinata storia della filosofia.
Nella "mia" storia della filosofia Platone, attraverso l'ombra di Socrate, è colui che segna l'allontanamento dalla realtà, facendola sovrastare da un
altro mondo, quindi imprimendo al pensiero occidentale una svolta decisiva, che disdegna
questo mondo.
Cosicché appena il suo sguardo sfiora le cose di questo mondo subito si fa strabico per vedere le cose dell'altro mondo. Ecco che nel Simposio si parla d'amore per il corpo e subito Socrate parla d'Amore per la Verità. E' una specie di gioco di prestigio che c'è in tutti i dialoghi socratici e che sarà chiamato "dialettica". Ma Platone è un prestigiatore eccezionale e ci ha lasciati alle prese con un trucco straordinario che non siamo ancora riusciti ad esplicare: l'enigma della VII lettera, dove scrive: "chi è serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all'odio e all'ignoranza degli uomini". Ma allora come dobbiamo giudicare le sue opere: un cumulo di cose non serie? E lui: una persona non seria?
Risponderemo...proveremo a rispondere...con il Simposio
