Discorso Sul Metodo – Cartesio
Il buon senso è tra tutte le cose quella meglio distribuita: ciascuno infatti ritiene di esserne così ben fornito, che persino quelli che su di ogni altra cosa sono i più difficili a contentarsi, di solito non ne desiderano di più di quanto non ne posseggono. Non è verosimile che tutti si ingannino in proposito, ma questa circostanza sta piuttosto a testimoniare che la facoltà di giudicare bene e di distinguere il vero dal falso – nel che consiste propriamente ciò che si chiama buon senso e ragione – è per natura eguale in tutti gli uomini, e che perciò la diversità delle nostre opinioni non dipende dal fatto che gli uni siano più ragionevoli degli altri, ma semplicemente dal fatto che conduciamo i nostri pensieri per vie diverse, e non consideriamo le stesse cose. Non è sufficiente infatti essere dotati di un buon ingegno, ma l’importante è saperlo applicare bene. Le anime più grandi sono capaci dei maggiori vizi come delle maggiori virtù, e coloro che procedono molto lentamente, se seguono sempre il giusto cammino, possono percorrere un tragitto assai più lungo di quelli che corrono, ma se ne allontanano.
Per quanto mi riguarda non ho mai presunto che il mio ingegno fosse in nulla più perfetto di quello di qualsiasi altra persona; anzi ho spesso desiderato di avere un pensiero così pronto, o l’immaginazione così netta e distinta, o la memoria così vasta o così presente come quella di altri. E oltre a queste non conosco quali altre qualità possano contribuire alla perfezione dell’ingegno, perché, per quanto riguarda la ragione o il buon senso, essendo essa l’unica qualità che ci rende uomini e ci distingue dalle bestie, voglio credere che essa sia tutta intera in ciascun uomo, seguendo in ciò l’opinione comune dei filosofi, i quali affermano che il più e il meno concernono esclusivamente gli accidenti non le forme o nature degli individui appartenenti a una stessa specie.
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Non avrò tuttavia alcun timore di affermare che ritengo di essere stato molto fortunato per essermi imbattuto fin dalla mia giovinezza in certi percorsi che mi hanno condotto a considerazioni e a massime, con le quali ho formato un metodo che – così almeno mi sembra – mi ha dato modo di accrescere per gradi la mia conoscenza, innalzandola a poco a poco al punto più alto che la mediocrità del mio ingegno e la breve durata della vita potranno permetterle di raggiungere. Da questo metodo ho già infatti raccolto tali frutti che, nonostante nei giudizi che formulo su me stesso mi sforzi di propendere più verso il lato della diffidenza che verso quello della presunzione, e nonostante che, considerando con occhio filosofico le diverse azioni e imprese degli uomini, non ve ne sia quasi nessuna che non mi sembri vana e inutile, non smetto tuttavia di provare una estrema soddisfazione per il progresso che ritengo di aver compiuto nella ricerca della verità, e per quanto riguarda il futuro spero con tutte le mie forze che se tra le occupazioni degli uomini, considerati esclusivamente nella loro qualità di uomini, ve ne è qualcuna che sia fondatamente buona e importante, questa – oso crederlo – è proprio l’occupazione da me scelta.
Può tuttavia darsi che io mi inganni e prenda per oro e diamanti quello che è soltanto un po’ di rame e di vetro. So bene quanto noi uomini si sia soggetti a sbagliare in quello che ci tocca da vicino, e quanto anche i giudizi dei nostri amici debbano rimanerci sospetti quando siano a noi favorevoli. Ma in questo Discorso sarò ben lieto di indicare quali siano i sentieri da me battuti, e di rappresentarvi la mia vita come in un quadro, perché ciascuno possa giudicarne, e perché io, apprendendo dalla voce pubblica quello che gli altri ne avranno pensato, possa avere un nuovo mezzo per istruirmi, mezzo che aggiungerò a quelli di cui solitamente mi servo.
Il mio scopo dunque non è di insegnare qui il metodo che ciascuno deve seguire per ben condurre la propria ragione, ma semplicemente di far vedere in che modo ho cercato di condurre la mia. Coloro che vogliono impartire precetti, devono stimarsi più abili di coloro ai quali li impartiscono, e se incorrono nel più piccolo errore sono degni di biasimo. Ma presentando questo mio scritto semplicemente come una storia o, se preferite, come una favola, dove, in mezzo ad alcuni esempi che si possono imitare, se ne potranno forse trovare molti altri che giustamente non si vorranno seguire, spero che esso sarà utile a certuni, senza essere di danno a nessuno, e che tutti mi saranno grati per la mia franchezza.
Fin dalla fanciullezza sono stato educato allo studio delle lettere, e poiché mi avevano persuaso che per loro mezzo si poteva acquistare una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile alla vita, nutrivo un vivissimo desiderio di apprenderle. Ma una volta portato a termine l’intero corso di studi, alla fine del quale si è di solito annoverati nel numero dei dotti, cambiai radicalmente opinione. Mi trovai infatti intricato in tanti dubbi ed errori che tutti gli sforzi da me compiuti nel tentativo di istruirmi, non mi sembrava che mi avessero permesso di trarne altro profitto se non quello di aver scoperto sempre di più la mia ignoranza. Purtuttavia frequentavo una delle più celebri scuole di Europa, dove pensavo dovessero trovarsi uomini dotti, se mai ce ne erano in qualche luogo della terra. Vi avevo imparato tutto quello che gli altri vi imparavano; anzi, non contento delle scienze che ci venivano insegnate, avevo dato una scorsa a tutti i libri capitatimi tra le mani che trattavano delle scienze considerate più rare e curiose. Conoscevo per di più il giudizio che gli altri avevano di me, e non mi sembrava che mi si stimasse inferiore ai miei condiscepoli, quantunque tra di loro ve ne fossero già alcuni destinati a prendere il posto dei nostri maestri. E, per finire, il nostro secolo mi sembrava fiorente e fecondo di buoni ingegni quanto nessuno dei precedenti. Tutto ciò mi induceva a giudicare liberamente, per conto mio, di tutti gli altri, e a stimare che non v’era al mondo dottrina alcuna che fosse quale precedentemente mi avevano fatto sperare.
Non per questo tuttavia desistevo dall’apprezzare gli insegnamenti che si impartiscono nelle scuole. Sapevo che le lingue che vi si apprendono sono necessarie per comprendere i libri antichi; che la delicata grazia delle favole rende sveglio l’ingegno; che le azioni memorabili narrate nelle storie lo elevano e che, se sapute leggere con discernimento, contribuiscono alla formazione del giudizio; che la lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini più eminenti dei secoli passati, che ne sono stati gli autori, anzi una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano solo quanto di meglio c’era nel loro pensiero; che l’eloquenza esprime un vigore e una bellezza incomparabili; che la poesia ha delicatezze e dolcezze che rapiscono il nostro animo; che nelle matematiche sono contenute invenzioni sottilissime, che possono essere di grande utilità sia ad appagare i curiosi sia a facilitare tutte le arti e ad alleviare il lavoro degli uomini; che gli scritti concernenti i costumi contengono molti insegnamenti e molte esortazioni alla virtù veramente utili; che la teologia insegna a guadagnare il cielo; che la filosofia dà i mezzi per parlare con verosimiglianza su qualsiasi argomento e farsi ammirare dai meno dotti; che la giurisprudenza, la medicina e altre scienze apportano onori e ricchezze a coloro che le coltivano; e, infine, che è bene aver esaminato tutte le scienze comprese quelle più superstiziose e false, al fine di riconoscerne il giusto valore e di guardarsi dall’esserne ingannati.